Come feci per Aldo Dall'Asta "Marzer", erborista ed
esoterista cadorino, su cui scrissi un Post su questo Blog
esattamente un anno fa, oggi desidero ricordare il mio parente e
compaesano Fortunato Soravia “d'Incol”. Egli era figlio di Maria
Soravia “Capoto”, la prima sorella di mio padre Adalberto,
e di Angelo Soravia “d'Incol”. La grande differenza di età tra
me e Fortunato (22 anni) impedì quella vicinanza tra cugini che
solitamente esiste, ma lo frequentai sempre, specialmente quando, tra
il 1958 ed il 1963 lavoravo al Consorzio Forestale di Borca, dove
Fortunato aveva il negozio di abbigliamento e giornali. Conobbi anche
bene sua moglie Irene Coletti, che lo affiancava nel lavoro, e che
morì nel 1968 a soli 44 anni.
Nel 1993 Fortunato mi regalò una copia del libro
IN VERSI E IN PROSA, selezione di “Prosa, Poesia, Pittura” del
Concorso “50&PIÙ” svoltosi a Levico Terme lo stesso anno, di
cui riporto la copertina e la presentazione. In questa selezione sono
presenti racconti e poesie di circa 200 autori segnalati dalla giuria
del concorso tra i 500 concorrenti.
Di Fortunato Soravia ci sono il racconto IL COLORE
DELLA POLENTA e la poesia ZATTIERE che qui pubblico.
Nel libro c'è anche una breve biografia
di Fortunato, che riporto:
“Fortunato
Soravia. È nato a
Venas di Valle di Cadore nel 1916. Risiede a Borca di Cadore (BL). Ex
commerciante. Autodidatta. Ha frequentato le scuole elementari in
Italia. Ha terminato gli studi in Germania. Pensionato, coltiva la
passione per la letteratura. Collabora a giornali e a periodici,
pubblicando poesie e racconti.”
Fortunato morì a Borca nel 2001.
Posseggo anche il libro di 59 poesie che Fortunato
fece stampare nel 1974 con il titolo POESIA IN CADORE. Nella seconda
parte di questo Post riporto una selezione delle stesse, con la
presentazione dell'avvocato Mario Vittore De Luca.
Venas di Cadore, 19 maggio 2021
G. Carlo Soravia
Presentazione
Un libro scritto da oltre duecento autori.
Il libro di coloro che, senza un'esperienza
professionale specifica, sentono l'esigenza di esprimere ciò che
urge dentro con un racconto, una strofa, un tratto di colore su una
tela.
È il libro di persone con i capelli bianchi che,
usciti dall'impegno dei lavori più diversi, ritengono che la ricerca
di un. equilibrio interno possa avvenire attraverso una più attenta
introspezione, una più esplicita volontà di dire, una più accurata
definizione anche formale delle cose da dire. Perché rimangano. Ciò
vale tanto più quando comincia a farsi sentire il morso della
solitudine e si avverte l esigenza di un ruolo diverso.
Quando lanciammo l'iniziativa del Premio
50&PIU'-Città di Levico per la prosa, la poesia e la pittura,
non pensavamo forse che il concorso avrebbe avuto il successo
registrato in questo decennio appena trascorso. Successo di pubblico
per la crescente adesione di sempre nuovi concorrenti; successo di
formali riconoscimenti per la sponsorizzazione fedele ed efficace
della città di Levico, della Provincia di Trento, della CEE che
presenta il Premio 50&PIU' tra le manifestazioni indette per
l'anno europeo degli anziani.
Ed oltre i riconoscimenti ufficiali, occorre
sottolineare l'adesione di artisti sommi, di critici, di personaggi
della cultura che, in qualità di giudici, si sono avvicinati a
questa iniziativa con la curiosità e l'apertura che si deve ad una
reale esperienza umana.
Siamo testimoni convinti della validità
dell'iniziativa per gli stessi concorrenti che ritrovano in questa
ricerca, in questa "fatica" di continuo miglioramento di
espressione, in questa azione "inutile" e proprio per
questo cosi significativamente spirituale, una dimensione che
restituisce loro, piena dignità.
Paolo Bartoli
Racconto
e poesia di Fortunato Soravia pubblicati nel libro suddetto:
Il
colore della polenta
Una piccola sorgente, sbucata
dalle pietre della sommità del bosco, lasciava scorrere un rivolo
d'acqua nel bel mezzo del prato attraverso uno stretto solco fino a
sfociare nel sottostante torrente Boite.
Con l'aiuto di una scorza di abete
avevamo deviato il flusso verso una buca, la quale oltre a fornirci
acqua fresca e pulita, serviva com base per la nostra flotta
mercantile. Si trattava di pezzi di legno colorati ad arte che
mettevamo in gara tra loro, e noi, muniti di lunghi bastoncini, li
guidavamo in corsa lungo il solco verso il traguardo correndo a
liberare sollecitamente i "natanti" che si incagliavano tra
i fili d'erba.
Un giorno, mentre eravamo intenti
a questa appassionata competizione, udimmo il rombo di un motore
passare alto sopra di noi; era un aeroplano sperimentale che
sorvolava insolitamente le Dolomiti e che, a quel tempo, destava
ancora meraviglia. Alzammo la testa anche noi ma, girato l'occhio
sempre vigile, scorgemmo la nonna, intenta a preparare il fuoco per
la polenta all'aperto, farsi furtivamente il segno della croce.
Perché il segno della croce? Secondo noi non c'era motivo di
ricorrere ad uno scongiuro, c tanto meno a propiziarsi un voto non
essendo un aereo oggetto scaramantico o magico. Ma la nonna,
ricordandoci che aveva un figlio caduto in guerra, ci spiegò la sua
avversione a quei marchingegni provocatori di morte concludendo:
«Cosi mi sono rivolta alla Madonna per chiedere protezione, non per
mc, ma per voialtri che avete appena cominciato a vivere».
«Allora tu credi alla Madonna!»,
scappò detto a mia sorella quasi impertinente. Lei ci guardò un
attimo con l'espressione di chi una volta guardava gli eretici
avviati al rogo, ma subito, resasi conto di quanta ingenuità eravamo
ancora imbevuti, sorrise e con molta diplomazia assecondò la domanda
rispondendo: «Anch'io non ci credevo alla vostra età» ed
indicandoci un dirupo che avevamo di fronte, di là del torrente.
continuò: «Ma da quando vostro nonno rovinò per quelle rocce
rimanendo illeso io, la Madonna, non ho mai smesso di ringraziarla».
Noi conoscevamo l'avventura del
nonno perché sul luogo dell'accaduto era stato eretto un capitello
dove spesso ci si fermava a recitare l'Ave Maria; ma quel giorno
capimmo anche che la nonna ci stava insegnando qualcosa di più di
ciò che si stava imparando nelle scuole di allora, come il
nazionalismo e il posto al sole nell'esaltazione dei nostri
governanti.
Ma per fare una sintesi valida del
suo discorso dovemmo attendere fino alla maturazione del nostro
cervello. La nonna era antiprogressista, odiava ogni forma di
violenza, considerava la natura come il più prezioso dei beni e non
ammetteva che l'arbitrio dell'uomo prevaricasse i misteri divini.
Rimasta al romanticismo di Manzoni
e di Fogazzaro, ligia all'antica saggezza che aveva ispirato
scrittori e filosofi come Spinoza, sul rapporto di armonia tra uomo e
universo, manteneva il rispetto per la creazione del mondo che si
rigenera da sé e sempre con lo stesso sistema.
Una volta ci vide prendere a calci
alcuni funghi velenosi e ci sgridò dicendo che stavamo spargendo
l'humus cattivo anche dove nascono i funghi buoni e che tale rispetto
era dovuto anche agli animali.
«Prendete una lente
d'ingrandimento ed avvicinatela a dei fili d'erba di un prato e
scoprirete un mondo minore, magico e suggestivo, pieno di piccoli
abitanti che si danno da fare. E per loro gli steli e le erbe sono
come gli alberi per noi quando, attraversando un bosco, guardiamo "in
su" a cercare il cielo. Sarebbe questo un mondo da distruggere?
Guardate le nuvole che partono dal
mare per distribuire sulla terra la benefica pioggia, eterne
inservienti con l'annaffiatoio, che da miliardi di anni fanno sempre
il medesimo servizio; guardate quella sorgente dove fate i vostri
giochi che oltre a dissetarvi vi offre anche il divertimento:
proviene da una falda freatica, ossia da un grande serbatoio d'acqua
custodito nel ventre della montagna che stilla umilmente, quasi
pudica tra le erbe, e si riunisce alla immensa madre per mezzo delle
venature dei torrenti e dei fiumi. Così anche il sole, gli astri e
la luna seguono sempre lo stesso ciclo ed ogni anno ritorna
primavera. Abbiamo forse bisogno di essere noi quelli che manovrano
il mondo? Siamo soltanto creature di Dio alle quali è concesso
godere i beni terreni e ci illudiamo di sostituire con l'egoismo le
regole immutabili della Natura senza pensare che al bilancio finale
dobbiamo presentarci a rendere i conti con le mani vuote».
L'acqua ormai bolliva nella
"caldiera” e la nonna, quasi dispiaciuta, dovette concludere:
«E' quasi mezzogiorno e devo preparare il mangiare. Lo so di aver
spinto il discorso un po' più avanti della vostra età ma sono
sicura che qualcosa rimarrà nelle vostre testoline "parché
se' nassude coi òci verte" (perché siete nati con gli
occhi aperti)».
Restammo in silenzio e perduti in
mille fantasticherie senza poter cogliere uno spunto da simile
discorso. L'unica testimonianza rimasta era quella traccia lunga e
bianca lasciata nel cielo dal passaggio dell'aereo: forse la nonna
aveva avuto ragione a farsi il segno della croce e decidemmo che quel
marchingegno sarebbe stato, in futuro, davvero una tragica arma. La
sorella aggiunse confermando che la Natura fa sempre le medesime
cose: bastava guardare il colore, sempre giallo, della polenta che la
nonna stava scodellando sul tagliere.
Il bosco si stava impregnando di
profumo che stuzzicava l'appetito, e noi, dimenticando i peccati
dell'uomo per obbedire agli stimoli del corpo, facemmo circolo
attorno al desco per saziare le nostre fameliche bocche.
Zattiere
L'erto colle
oscura l'orizzonte
e sogni il mare
pilotando i tronchi
per contorti fiumi
e fiorenti sponde
che allargano alla foce.
Ma dove attacchi il collo
ti sgomenta
il cerchio del Creato
che regge il cielo
senza le navate;
e spegne l'ansia
della lunga attesa
l'onda rabbiosa
contro la scogliera
che cerca invano
la libertà contesa.
PARTE
SECONDA
Dal
libro POESIA IN CADORE (1974,
Tipografia Piave Belluno) di Fortunato
Soravia
PRESENTAZIONE
La protesta contro la morte
crudele sente di lacrime che si sciolgono sulle spoglie della
compagna perduta, del povero piccolo stoico Stefano, sulla scatenata
strage del Vajont.
E quando la sua lirica così
moderna ed agile richiama i ritmi e le sincopi di una musica
elettrizzante, Soravia avverte che il suo spirito ritorna «nel tempo
in cui arde la resina acre per il canto soave dei pastori a bivacco
alti sui colli...».
Poeta interamente e nobilmente
poeta; poeta puro. Soravia ha il pregio di rimanere in questo supremo
aspetto dell'arte la fulgida tradizione cadorina, quella di cui amerà
come ogni mortale chiudere gli occhi:
« ...restano ancora con noi
i benedetti padri
fatti di muschio e di linfa
terra di questa terra
terra del Cadore»
Pasqua 1974
MARIO
VITTORE DE LUCA
VIVERE
PER TE
Un alito di vita
che ancora
mi appartenga;
i lunghi capelli
riposanti sulle spalle
poterli accarezzare,
rompere assieme
il pane
del desco vuoto
Vivere per te.
E nella quiete
dei tuoi occhi
trovare la quiete
dell'anima mia.
AUSTERITA' 1974
Mentre
la luce si attenua
e le ore
segnano il passo
nei nostri quadranti
da corsa,
ritornano i canti augurali
dell'Epifania
e scoppia il tizzone
riarso
sulla cenere spenta.
Un respiro
di tempo lontano
mi nevica in cuore,
quando l'acqua sapeva
di miele
e il profumo del fieno
stagnava
fra le povere cose.
NESSUNO
MI CHIAMA
(a
Katrina)
Io sono solo
ma nessuno mi chiama.
Perché guardo il cielo
le rughe dei monti
le nuvole basse
le verdi colline
la gemma che occhieggia
la foglia che vola
la neve che cade
il pallore che ha.
Perché guardo il fiume
che bagna di spuma
le selci e la spina.
Io sono solo
ma nessuno mi chiama;
e se io ti chiamo
nessuno risponde
nessuno conosce
nessuno lo sa.
LA MORTE
Forse
la morte
è proprio come pensi:
un dolce sopore
che può parer dormire
e tutto senti
ma nulla
vuoi più sentire.
A
STEFANO
(a
Stefano Sommacal)
Piccola anima
torni
fra le stelle
che spesso guardasti
con l'occhio curioso
del bimbo.
Ti accoglie
il giardino dei Cieli
ove nulla appassisce
e tutto fiorisce in silenzio
come il nostro
grandissimo amore.
A MIA MOGLIE
Io ti scrivo, amata,
in vena d'abbandono
mentre ancora
dalla morte sorpresa
hai per me
pausa di sonno.
E rinnovo parole d'amore
che pure ti dissi
ma svanirono presto
nel tema del nostro
quotidiano travaglio.
Lo so che m'intendi
anche se vaghi
col mutare del vento
oppure sei ferma
in una luce di stella.
Nella veglia d'attesa
non cerco domande
o risposte di vita
e di morte terrene
ma ragioni
a Giustizia che vigila
il moto dei cieli.
E ti tengo nel cuore
di quando
al primo vederti
mi chinai a baciar
le tue mani
ancora bambine.
IL VERDE
DELLA MIA VALLE
Come fluido
discende
dai pallidi monti
il verde della valle
a tuffarsi nei fiumi.
Qui fugge sui dossi e gli spiani
ora chiaro
ora scuro
si specchia nei laghi
poi rompe, lontano
in rigagnoli stinti
e muore
baciato dal cielo.
LE
«CUBIE»1
Passa rombante il fendineve
Altro tempo mi segue
quando notti d'inverno
rompeva i miei sonni
innocenti
un intenso vociare
di uomini
incitante i cavalli
alle briglie.
Ballavano rosse lanterne
che luce giocava
coi fiocchi di neve;
strani rimbalzi
fra la nebbia fumante
delle «cubie» accaldate.
Poi tornato il silenzio
coglievo quei tratti
fugaci
e sognavo
dei bianchi cavalli
galoppanti felici
verso un sole
infuocato.
________
1
«Cubie» - Cavalli accoppiati per il tiro. (Dialetto cadorino)
IL
PRATO A SOCCHIUSE
Socchiuse
oltre il ponte
ove un lembo di fiume
risacca nella forra,
ti rivedo
col rivolo d'acqua muschiosa
tra il verde disteso del prato.
M'inebrio di luce celeste
col cuore fanciullo
sui larici alti
assorto al tuo canto di merli.
Ansia di nidi nascosti
timore del ramarro smeraldino.
Al riparo nel vecchio fienile
non so
se gioia o tristezza
mi dava la pioggia
battente sul tetto,
ma l'asilo sicuro
era già una fiducia segreta
nel sole di poi.
Immagini care
raccolte nel cuore
che apro mature al tuo vento
in quest'ora a me fioca,
mentre luce d'Eterno nel seno
ti rinnova la vita.
IL BOSCAIOLO
Vibra
nei muscoli tesi
quel ritmico
battere il tronco,
colpo
dopo colpo,
scheggia
dopo scheggia.
Salda
nelle mani tozze
brilla la lama
che scende
e poi risale
finché lo schianto
fermerà il respiro.
Umile impresa
inorgoglisce il cuore
pago del vuoto
che intorno s'è creato.
IL VENTO DEL CAMOSCIO
Agile camoscio
alto, sulle greppe
il vento ti porta
il fumo di polvere nera,
i latrati dei cani
che straziano
sangue del tuo,
l'odore dell'uomo
che uccide.
Scuoti la pace del branco
e ritorna ai tuoi pascoli magri
di muschi e licheni
che sanno di neve:
il vento ti porta
ancora un giorno di pena.
TOMBA DEL "Poeta Cadorino" FORTUNATO SORAVIA A VENAS